Cogito ergo sum…
Se invece fosse posto/bloggo ergo sum… non ci sarei proprio in questo periodo…
Cogito ergo sum…
Se invece fosse posto/bloggo ergo sum… non ci sarei proprio in questo periodo…
Bellissimo film che ripercorre la campagna elettorale per il referendum svoltosi in Cile nel 1988: grazie alle pressioni internazionali Pinochet fu costretto a indire un referendum, in cui il popolo doveva decidere se il generale potesse rimanere al potere per altri 6 anni, fino al 1994. Le regole erano semplice e chiare: il NO avrebbe avuto 15 minuti sulla tv pubblica ogni sera, per 28 giorni, per esprimere quello che non aveva potuto dire in ben 16 anni.
Il fronte del NO, una coalizione molto eterogenea formata da 17 partiti, non volendo replicare gli insuccessi del PD, decise a sorpresa di affidarsi a un professionista, un noto pubblicitario: figlio di esuli ma abbastanza disinteressato alla politica (anche in virtù del clamoroso boom economico di alcuni settori dell’economia e della società cilena) Renè Saavedra punta tutto sulla qualità, sull’idea di novità e di “allegria” che la vittoria del NO potrebbe portare a vincere.
Il ricordo della tragedia dei desaparecidos, dei drammi e delle violenze del passato, per quanto giusta e, anzi, sacrosanta non avrebbe portato alla vittoria se confrontata con il benessere e la continuità della rielezione di Pinochet. Come si vincono le elezioni ? Fin dove è giusto spingersi ? Il film si snoda su queste tematiche, alternando recitato e spot dell’epoca dell’autentica campagna elettorale
Una lezione di storia, di politica e anche di cinema (il regista Pablo Larrain si conferma davvero interessante).
“E’ possibile cambiare il corso della storia con l’allegria? Si può far trionfare la democrazia con le stesse tecniche con cui si decreta il successo di una bevanda? Per capire cosa è accaduto nel Cile del 1988. quando Pinochet, in seguito a un plebiscito, fu bocciato dai cileni, andate a vedere ‘No – I giorni dell’arcobaleno’ di Pablo Larraín, che racconta con passione e intelligenza come un giovane pubblicitario liberò il proprio paese da un’odiosa dittatura durata venticinque anni.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 9 maggio 2013)
Approfittando della festa del cinema (tutti gli spettacoli costano 3 euro per una settimana), sono ritornato in sala dopo un po’ di assenza, dal film di Almodovar.
Ogni tanto mi prendono questi periodi in cui non ho voglia di muovermi, uscire di casa alla sera e fiondarmi nei cinema del centro, nonostante siano vicinissimi, tutti raggiungibili a piedi in cinque minuti.
Ecco, ieri era meglio non farlo e non sfruttare lo sconto.
Viaggio sola è davvero un film brutto. Il soggetto potrebbe anche avere un senso ma è sviluppato malissimo. La sceneggiatura, beh, lasciamo perdere. Alcuni dialoghi sono da arresto (quello fra la protagonista e l’antagonista femminile in macchina è il peggiore che abbia mai visto al cinema). Il film si conclude senza aver districato nulla, la crisi della Buy (non fastidiosa come in altre pellicole) passa senza motivo, senza che succeda niente o ci sia un cambiamento.
Filmaccio. E poi ci lamentiamo che il cinema italiano è in crisi, di certo la regista lavora non per suoi meriti particolari ma per discendenza…
Come saprete un’altra tragedia ha contraddistinto questo periodo nero che sta vivendo la città.
Dopo l’alluvione del novembre del 2011, la tragedia del Porto.
In mezzo una crisi economica davvero pesante, un’imprenditoria di basso livello, senza capacità di investire e di innovare, una classe dirigente terribile, stantia e vecchia, un sindacato che per difendere i diritti di chi ha già il lavoro rende impossibile l’accesso al lavoro ai giovani e fa pagare carissimo un servizio pessimo e inefficiente (sto parlando di AMT, dove accanto ai moltissimi che non lavorano o lavorano male ci sarebbe da scrivere un libro sulla pessima gestione delle varie dirigenze di questi anni).
Una città in crisi, dove chiudono i negozi storici e aprono i cinesi.
Questa città ha però un tratto che la contraddistingue: la solidarietà, il senso di appartenenza. Caratteristiche davvero bizzarre se pensiamo a com’è il genovese medio: mugugnone, riservato, apparentemente disinteressato a tutto quello che accade intorno a lui ma che non lo riguarda direttamente.
E invece è solidale ed è orgoglioso di essere “di qua”. Appena va a Milano, a 150 km, si sente in un altro mondo, come se fosse emigrato in America.
Se c’è da dare un mano, nessuno si tira indietro. Il fango dell’alluvione è stato spazzato via dalla generosità dei cittadini, dei ragazzi, che si sono organizzati e hanno pulito tutto in pochi giorni, senza grossi aiuti dall’esterno (non siamo fashion come la Firenze del 66′).
Un bambino sta male e le tifoserie di Genoa e Samp trovano 70.000 euro in dieci giorni, purtroppo solo dopo si scoprirà che era una spregevole truffa.
Questa è Genova e anche questa volta si rialzerà, anche questa volta ripartirà.
Pulp fiction è certamente il più famoso dei film di Quentin Tarantino, un regista che, volenti o nolenti, ha certamente influenzato tutto il cinema successivo al 1992, anno di uscita de “Le iene”.
Dialoghi molto lunghi e curati, cast con numerosi grandi attori mixati a miti del cinema di serie B degli anni 70′ e 80′, fiorire di personaggi – in numero certamente eccessivo -, particolare attenzione alle colonne sonore, attento montaggio, spesso con svolgimenti non lineari, scene cult e scene splatter.
In sintesi è questo il cinema del regista italo-americano, uno dei cineasti che più dividono il pubblico degli appassionati: o lo ami o lo odi. Io sono in quella piccola fascia di coloro che guardano con curiosità ogni suo film, godendo della bellezza, stilistica soprattutto, di alcune scene, godendo alla visione di alcune scene cult ma anche rendendomi conto dei limiti di questo cinema che, a mio avviso, è molto spesso solo intrattenimento – di qualità s’intende – ma che non vuole trasmettere o non sa trasmettere nulla di più.
Pulp Fiction rilancia John Travolta, memorabile protagonista della scena del ballo con Uma Thurman, forse l’unica vera musa di Quentin, insieme al suo attore feticcio Samule L. Jackson, ci regala un convincente Bruce Willis, un ottimo Mr. Wolf/Harvey Keitel e un interessante e paradossale cameo di Christopher Walkern.
Insomma, un film da guardare, fosse solo per le scene cult del video con cui introduco il post e del furore biblico di Samuel L. Jackson…