Italia 1977.
Giovanni (Alberto Sordi) è un mediocre impiegato, dipendente dal 1945 di un Ministero. E’ un italiano medio: poche ambizioni, atteggiamento da “furbetto”, poca voglia di lavorare, nessuna voglia di crearsi fastidi ma sempre disponibile a “ruffianare” i superiori, i quali lo guardano con disprezzo e disinteresse.
Ha un moglie (Shelley Winters) che tratta male e un figlio di nome Mario (Vincenzo Crocitti), amatissimo.
La sua dedizione e il suo amore nei confronti di Mario sono assolute (emblematica la scena, pochissimi secondi, in cui lo spettatore attento si accorge dell’esultanza al gol della Lazio – squadra del cuore del figlio – mentre il personaggio di Sordi è romanista: una vera bestemmia laica per un tifoso italiano, dettata proprio da questo sentimento di affetto smisurato per il figlio), nonostante l’erede sia un ragazzo privo di qualsivoglia talento, poco scaltro, poco intelligente, brutto, senza verve.
Appena venuto a conoscenza di un concorso ministeriale Giovanni si adopera per favorire il figlio, assolutamente inadeguato a vincere lealmente il concorso: chiede aiuto al capoufficio (uno splendido Romolo Valli) che in cambio del suo aiuto (“nessuno ti aiuta per niente” dice profeticamente la moglie) vuole l’adesione di Giovanni alla Massoneria…
Non vado oltre nel riassunto della storia per evitare antipatici effetti spoiler.
Monicelli, dopo il capolavoro “Amici miei”, si supera e pone termine alla stagione della commedia all’italiana, utilizzando l’attore simbolo per eccellenza del periodo (senza offendere Tognazzi, Gassman, Manfredi, Mastroianni…) per demolire l’immagine dell’italiano furbo e guaglione ma essenzialmente buono.
Giovanni Vivaldi è un personaggio senza caratteristiche positive e nemmeno l’accudimento della moglie cambia questo giudizio: si barcamena nel Ministero, lavorando poco e “leccando il culo” a chiunque abbia un minimo potere, è arrogante e maleducato, stravede per un figlio mediocre e fa di tutto per raccomandarlo, anche entrare nella Massoneria. Dopo i tragici eventi si vendica ma anche qua senza onore, senza infliggere direttamente la punizione voluta ma lasciandosi trasportare dagli eventi, sempre pronto a far esplodere la sua rabbia in maniera subdola e vigliacca.
Niente si salva della società italiana: una religiosità fasulla, ai livelli della superstizione, che serve soltanto per chiedere “favori” immeritati, un mondo del lavoro basato sul favore e la raccomandazione e mai sul merito, una Massoneria farsesca e demenziale (eccellente il sarcasmo su questo mostro italico), ricettacolo di fannulloni ministeriali, una magistratura poco efficiente, dove nessuno capisce per davvero la tragedia familiare, una popolazione ignorante, violenta e maleducata…
Monicelli è maestro nel fondere il dramma, l’acuta e feroce critica sociale, i toni della commedia e della farsa e a dirigere un Sordi magistrale, alla sua migliore interpretazione della lunghissima e prestigiosa carriera.
Un film imprescindibile. L’ultimo acuto del periodo d’oro.