1858, da qualche parte nel Texas.
Django è uno schiavo, incatenato ad altri in una marcia notturna estenuante (evidente omaggio al Django originale di Corbucci, che si apre con il protagonista che percorre un’infinita distesa trascinando una bara). Improvvisamente sopraggiunge un bizzarro personaggio, il Dott. Schultz, che prova ad acquistarlo per utilizzarlo in una missione da cacciatore di taglie…
Attesissimo, come ogni film di Tarantino, Django Unchained non delude le aspettative dei fan del regista e, per come è girato, senza alcuni tarantinismi odiati dai suoi detrattori, può essere apprezzato anche dai cinefili meno teneri con Quentin.
La storia è abbastanza lineare e la sceneggiatura taglia con l’accetta, in modo molto manicheo, i buoni e i cattivi: non esistono sfumature. I personaggi, pertanto, sono abbastanza caricati, soprattutto quelli perfidi (in particolare quello interpretato da Di Caprio e, ancora di più, quello di Samuel L. Jackson) e gli attori riescono a portare a casa discrete recitazioni, anche se non raggiungono il loro massimo in carriera.
Particolarmente convincente, a mio avviso, è Jamie Foxx, il quale si conferma attore carismatico mentre il bravissimo Christoph Waltz soffre un po’ del progressivo peggioramento della sceneggiatura con l’avanzare del film, di cui la maggiore vittima è proprio il suo personaggio.
Molte le scene ben riuscite (il cameo di Franco Nero, l’esplosione che uccide il personaggio di Tarantino – penso omaggio a certe atmosfere di Giù la testa -, lo scontro ultrasanguinolento che porte alla cattura di Django) e, come accadde in Bastardi senza gloria, clamorose le incongruenze storiche (su tutte, il Ku Klux Klan già esistente prima della Guerra di Secessione, o la dinamite utilizzata quasi 10 anni prima della sua invenzione da parte di Nobel).
Da questi elementi emerge uno dei tratti, a mio sommesso avviso, centrali del cinema di Tarantino: l’intrattenimento come file rouge della estetica e della dinamica del suo cinema. Tutto può piegarsi all’esigenza dello spettacolo, del divertimento, dell’intrattenimento appunto: in tal senso è emblematico il dressage finale di Django, assolutamente incongruente con tutta la storia e con il momento in cui viene realizzato, perchè il cinema di Quentin è essenzialmente stupore e divertimento.
Come al solito si sprecano le citazioni: quella già detta su Django (anche i titoli iniziali sono identici), il finale che riprende il grido di Eli Wallach nè Il buono, il brutto e il cattivo, o il riferimento ad Arancia Meccanica.
Ah, ovviamente Django unchained NON è uno spaghetti – western !