Un uomo morto, il protagonista, ci racconta l’ultimo anno della sua esistenza, il più importante, il più vero, l’unico sensato, dopo una vita anonima, nei binari imposti dalla società e dal sogno americano (una moglie, numero variabile di figli, una casa grande con giardino davanti in una via residenziale, il lavoro e la competizione cone pietre miliari dell’esistenza).
Evidente è l’omaggio a “Viale del Tramonto” di Billy Wilder, dove William Holden racconta la storia come Kevin Spacey in questo film di Sam Mendes.
Ma se nel primo l’oggetto della critica era la società hollywoodiana, con i suoi falsi miti buoni solo per dare una patina di lustro ad un mondo cinico e spietato, dove chi non è più utile viene dimenticato e abbandonato al suo destino, nel film Premio Oscar del 2000, sceneggiato da Alan Ball, anch’esso premiato per la miglior sceneggiatura originale, viene presa di mira l’intera società americana e i falsi miti della middle class, una società intrisa di ipocrisia e spietatamente competitiva.
Il rapporto marito – moglie (Annette Bening) – figlia è emblematico di tutto ciò : zero comunicazione, tanto disprezzo non sempre manifestato, tutto dietro una cortina di rispettabilità. Gli unici che sembrano godersi la vita sono quelli che sono borderline alla maggioranza, la coppia di gay, il ragazzo spacciatore, il protagonista quando abbandona il lavoro, riprende a farsi gli spinelli e si rimette in forma per conquistare l’amica adolescente della figlia (Mena Suvari).
Emblematica è la figura del soldato in pensione, essenzialmente un nazista, e della sua incapacità a stare al passo coi tempi e a comprendere il mondo attorno a sè, personificazione dei pensieri che molti nascondono ma che celano in segreto.
Un ottimo film, con una regia eccellente, clamorosa opera prima di Mendes, premio Oscar, che come alcuni sanno è un regista che ammiro molto. Fantastici Kevin Spacey, premio Oscar, e Annette Bening.