Ennesima prestazione mostruosa di Rodrigo Palacio e grande vittoria contro il Napoli.
Un gol talmente bello che i compagni lo alzano come un trofeo !
VIGA / DAVIDE mi ha segnalato per questo premio/gioco, in cui si devono scrivere 7 cose non note ai lettori del blog su sè stessi e indicare blog preferiti e/o interessanti e/o inneggianti al Cammello Lucas Pratto.
Visto che su WordPress sono un new entry, mi gioco questo jolly e rivelerò alcune cose forse già note ai vecchi lettori ma non ai nuovo amici :
1) la mia vita lavorativa è quanto di più lontano dal cinema e dalla letteratura, infatti svolgo la terribile e tetra professione del praticante avvocato e sto imparando varie tecniche per denunciarVi in caso di commenti a me non graditi;
2) fino alla quarta/quinta liceo (classico) non ero affatto appassionato di cinema, ricordo che mi annoiai assai al cinema durante gli interminabili signori degli anelli. Film che tuttora non mi entusiasmano;
3) mi terrorizza l’idea di fare sempre le stesse cose, ogni giorno. Vado al lavoro a piedi e quasi ogni giorno faccio un percorso leggermente diverso, magari attraverso la strada in un posto piuttosto che in un altro oppure faccio piccole deviazioni che mi allungano leggermente il percorso per variarlo un po’. Penso sia il primo sintomo di una qualche patologia psichiatrica;
4) provo uno smisurato affetto per Lady, la mia splendida bobtail, di cui posto una foto. Ritengo la canzone “Escluso il Cane” l’unica vera filosofia che abbia mai sentito in un pezzo di musica leggera;
5) i miei cantanti preferiti sono Paolo Conte, Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè e non mi piace per niente questa sua mitizzazione a “santo laico”;
6) mi piace moltissimo viaggiare ma purtroppo le occasioni si stanno riducendo con il lavoro; la Spagna è la mia metà preferita, anche se l’Est Europa regala sempre grandi emozioni; non sono mai stato in luoghi “obbligatori” come Londra, Venezia, Parigi e mai sotto Napoli;
7) le cose per cui vivere che mi emozionano sempre : andare al cinema e gustarsi i primi minuti di un film; entrare al Luigi Ferraris di Genova prima di una partita del Genoa e vedere il verde del campo con migliaia di persone già stipate nei propri posti; girare per Genova di sera/notte, quando c’è poca gente e ti sembra di essere l’unica persona in giro; andare a correre al Porto Antico, col freddo e col vento che ti taglia la faccia e trovarsi di fronte la Lanterna, le luci delle gru, le navi che passano, col mare mosso; uscire la prima volta con una ragazza e fantasticare e scoprire a poco a poco un’altra persona; le partite di calcio a 5 con i miei amici; la sensazione unica dei primi 30 secondi dopo aver passato un esame, aver fatto un’udienza che ti preoccupava, aver superato una propria paura.
Ora vi dico i blog che mi piacciono.
1) quello di Monsier Verdoux;
2) quello di Rear Window;
3) quello di Viga;
4) quello di The Emerald Forest;
5) quello di Luca Scialò;
6) quello di Anifares;
7) quello di Red Poz;
8) quelli di Markx e Slec;
9) quello di Fra;
10) quello di Francesco;
11) quello di Crimson;
12) quello di Persogiàdisuo;
13) quello che scoprirò prossimamente…
E’ stata certamente questa la pellicola che più mi ha sorpreso ed emozionato nell’anno solare cinematografico 2009.
Innanzitutto per le modalità di realizzazione, con questa tecnica del documentario d’animazione che rende ogni movimento molto “particolare”, lento, poco fluido, risaltando parecchio ogni espressione facciale.
In secondo luogo per come tratta il tema della guerra del Libano (1982) : si parte dall’esperienza personale (il film è autobiografico), quando un amico racconta al regista un suo sogno ricorrente, che lo tormenta da diversi mesi, un branco di cani feroci lo minaccia fuori da casa sua, aspettando la sua uscita per ucciderlo. Il documentarista si accorge di non avere nessun ricordo del Libano, nonostante abbia partecipato al conflitto, e così parte la ricerca, attraverso i commilitoni dell’epoca (un ricco ristoratore trasferitosi in Olanda, un amico intellettuale, un insegnante di arti marziali) e ognuno di essi fornisce un pezzettino del puzzle.
Improvvisamente tutto è chiaro e tutto ritorna alla mente, si palesa con forza il vissuto, il terrore del combattimento in mezzo ai palazzi, momento in cui si svolge il valzer del titolo, la paura in mezzo ai frutteti di notte, l’autoillusione di essere in un vero aeroporto (con tanto di duty free e turisti) e non in uno scalo devastato dalle bombe e dai missili, i momenti più assurdi di tutto il conflitto (il servizio sulla spiaggia o quello della villa).
Però manca ancora un frammento, quello più doloroso di tutti : che ruolo ha avuto Ari Folman, semplice soldato 19enne, nei fatti di Sabra e Chatila ? Il famoso massacro compiuto dai falangisti cristiani, seguaci di Bashir Gemayel, carismatico leader libanese ucciso in un attentato.
E così, alla fine, si passa dal singolo alla storia, con i militari israeliani che all’inizio paiono non accorgersi di nulla, ma a poco a poco iniziano a capire, e a vedere (“ma lo hai visto con i tuoi occhi ?”), la terribile vendetta verso vecchi, donne e bambini, solo colpevoli di essere palestinesi e di trovarsi indifesi in quel momento. Quando il protagonista si ricorderà le sue azioni, lanciare razzi di segnalazione in aria, forse riuscirà a chiudere questa sua dolorosa pagina di vita, mentre sullo schermo passano le uniche immagini vere, di repertorio, con madri che piangono e cadaveri che spuntano da sotto le macerie.
L’opera si farà ricordare soprattutto per certi passaggi onirici, come la visione della donna nel mare, per altri davvero crudi, l’incipit dell’esperienza militare di Folman, con i cadaveri ammucchiati tutti sotto ad un elicottero, oppure la terribile sequenza dell’ippodromo, ma anche per una colonna sonora azzeccatissima, per i colori, forti, intensi, vivi, duri.
E, si spera, per la sensazione di ribrezzo, orrore e ripulsa ( o come dicono gli spagnoli, “asco”) con cui si esce dalla sala.
Non esistono guerre eroiche o guerre belle.
Fra l’altro il suo libro-intervista ad Hitchcock è uno dei classici della letteratura cinematografica, da un po’ è una presenza sul mio comodino, in attesa di essere finito.
I 400 colpi è un vero e proprio capolavoro e si conclude con una delle più belle scene finali dell’intera storia del cinema : il ragazzino protagonista che, fuggito dal riformatorio e diretto verso l’ignoto, si lancia in una corsa verso l’agognato mare, sempre sognato e mai visto nella realtà.
Tutta la pellicola scorre via fluida, senza incepparsi mai, e verte proprio su questo ragazzino, incompreso e problematico, e le sue disavventure.
Da un lato l’ordine costituito, la gerarchia, la società “per bene”, composta dal giudice, dal commissario, dal poliziotto, dal preside. Sicuri nella loro autorità, certi della giustezza delle proprie azioni, mai un dubbio o una riflessione sul perchè si sviluppino certi comportamenti.
Dall’altro Antoine, insofferente all’autorità ma di indole fondamentalmente buona, mal sopportato dal patrigno e praticamente odiato dalla madre.
Il tutto descritto con una dolcezza e un garbo infinito, così come la corsa verso il mare…
Siamo in America, l’America della Grande Depressione, l’America del fanatismo religioso (quindi alcuni potrebbero pensare all’America del 2012).
Ben Harper (Peter Graves) uccide due uomini per rapina ed è braccato dalla polizia ma prima di essere catturato riesce a consegnare ai suoi figli il bottino di 10.000 dollari. In carcere, in attesa dell’impiccagione, è in cella con un sedicente pastore Harry Powell (Robert Mitchum) che cerca in tutti i modi di estorcerli informazioni sul denaro, senza riuscirvi.
Uscito di prigione Powell si reca quindi nel paese dell’impiccato, situato lungo il grande fiume, e sposa la vedova (Shelley Winters) dopo aver ammaliato tutta la stupida e ultra religiosa communità grazie ai suoi modi teatrali e al racconto dell’amore e dell’odio (parole che ha tatuate sulle mani, in una delle scene più riprese della storia del cinema). Inizia quindi un lungo scontro fra Powell e i bambini che verranno aiutati da una vecchia signora (Lilian Gish, attrice dei film di Griffith), dal grande cuore e dotata di buon senso (a differenza degli altri ultrareligiosi).
L’unica regia del grande attore Charles Laughton è quanto di più vicino si possa accostare alla parola “capolavoro”, spesso abusata ma mai come in questo caso azzeccata.
Quello che salta agli occhi per prima è la splendida fotografia, curata da Stanley Cortez, incredibilmente efficace nel descrivere il terrore, la tensione, l’angoscia. Alcune immagini sono di una bellezza estasiante, da quadro, e mi pare evidente un influsso dell’espressionismo cinematografico tedesco.
Purtroppo non sono riuscito a trovare immagini di maggior qualità, ma la scena in cui i bambini attraccano per passare la notte in un fienile è qualcosa di incredibile, sia come fotografia che come montaggio.
La vicenda, invece, potrebbe essere vista come una fiaba “classica” dove gli innocenti (i bambini) riescono a salvarsi grazie alla propria purezza e al rispetto di certi comportamenti morali (il rispetto della parola data, la difesa dei più deboli compiuta dal fratello verso la sorella, la riconoscenza) anche grazie all’aiuto di un personaggio esterno, Lilian Gish, che, unica in un mondo di babbei ultrareligiosi, ubriaconi e falliti, riesce a comprendere le dimensioni del male, le forme che può assumere e sconfiggerlo.
L’interpretazione di Robert Mitchum è certamente una delle migliori in assoluto della storia del cinema, rende il personaggio del pastore davvero diabolico, senza scrupoli morali di alcun tipo, assassino della peggior risma, una vera e propria impersonificazione del Demonio. Le sue espressioni, il suo sguardo, l’alzarsi di un sopracciglio, una smorfia, tutto è perfetto in questa prova.
Da segnalare anche Shelley Winters, che interpreta in maniera volutamente esagerata (come nel cinema muto) una madre deviata dalla religione, facilmente impressionabile e ammaliata dai trucchi da quattro soldi del pastore, e Lilian Gish, famosissima attrice del muto.
Un film straordinario.
Bosko Jankovic è il simbolo di questa rigenerante vittoria contro l’Udinese. Di fronte ad Armero, forse l’ala più forte del campionato, sciorina una grande prestazione, propizia il pareggio di Granqvist con una gran botta su punizione e segna un fantastico gol – tiro al volo – su cross di un redivivo Constant.
Il serbo è il tipico talento mai esploso del tutto a causa di gravi infortuni. Assomiglia per questo al Vecchio Grifone.
George Clooney si conferma buon regista, confezionando un film dallo stile classico che ammicca ad una Hollywood degli anni 50′ e 60′: cura nella fotografia, sobrietà, sceneggiatura curata e dialoghi come punto di forza, attori assoluti protagonisti.
L’argomento è la scalata al potere con l’esemplificazione delle primarie americane: inganni, sotterfugi, doppi giochi la fanno da padrone, nessuno è immune dalla corruzione, dal malaffare, dall’immoralità, forse un’amara critica a Barack Obama da parte di uno dei più accesi sostenitori del 2008 ? Una disillusione ?
In questo cast stellare (Clooney ma soprattutto Hoffman e Giamatti, due miei autentici miti) il protagonista Ryan Gosling non svetta e non emerge ma la sua giovane età e la sua ascesa fanno presagire una grande star degli anni Dieci…
Alejandro Amenabar, regista cileno ma madridista d’adozione, vinse l’Oscar per il miglior film straniero con la toccante vicenda di Ramon Sampedro (un magistrale Javier Bardem), un uomo da 27 anni costretto all’immobilità a causa di un banale incidente in spiaggia.
Ramon vuole a tutti i costi suicidarsi, perché una vita come la sua non è degna di essere vissuta, ma la legislazione spagnola è chiara : l’eutanasia non è contemplata, l’accusa per chi lo aiuterà sarà di omicidio; inizia quindi una battaglia legale per far valere le sue ragioni, aiutato da un’avvocatessa afflitta da una malattia degenerativa, la bella Belen Rueda, e da una strampalata dj (Lola Duenas)
Il film è davvero toccante (la scena in cui Ramon vola fino al mare sulle note di Nessun Dorma è degna di menzione) e ha il pregio di contribuire al dibattito sull’eutanasia : è un diritto di ognuno determinare la propria vita, in tutti i suoi aspetti ? Oppure la vita è sempre meritevole di essere vissuta, come sostiene il gesuita tetraplegico (anche se il dialogo fra i due è una delle scene meno riuscite della pellicola) ? Amenabar rimane abbastanza neutrale sulla questione, ci propone le due possibilità, dando voce anche al fratello di Ramon, assolutamente contrario, e ai silenzi molto significativi della cognata Manuela, che da tanti anni si prende cura del protagonista.
Vivere o morire ? Scegliere o imporre ?
Leggendo con attenzione “La vita davanti a sé” si capiscono i motivi profondi del suicidio di Romain Gary. In questo splendido romanzo, che racconta l’affetto e l’empatia fra il giovane Momo e la madre adottiva Madame Rosa, nella Parigi delle periferie e dei diseredati, è ben chiara la terribile paura del decadimento fisico e della vecchiaia che attanagliavano l’autore.
Paura giustificata perché la vecchiaia è bella solo nei film da quattro soldi, vivere come un vegetale è comprensibile solo nell’ottusa visione delle religioni (la libertà di scelta, questa sconosciuta, soprattutto in Italia), la felicità è costante solo nei romanzetti. La vita, il modo di affrontarla, la rassegnazione, la saggezza, l’amore : questo tratta Gary e questo dovrebbe essere l’oggetto di ogni libro.
I ragazzi che si bucano diventano tutti abituati alla felicità e questa è una cosa che non si perdona, dato che la felicità è nota per la sua scarsità. Per bucarsi, bisogna veramente cercare di essere felici e solo i re dei cretini possono avere delle idee simili. Io polvere non ne ho mai presa, ho fumato la Maria qualche volta con dei compagni per non essere scortese eppure, a dieci anni, è proprio l’età in cui i grandi ti insegnano un mucchio di cose. Ma io non ci tento tanto a essere felice, preferisco la vita. La felicità è una bella schifezza e una carogna e bisognerebbe insegnarle a vivere. Non siamo della stessa razza io e lei, a me non me ne frega niente. Fino adesso non ho mai fatto politica perché c’è sempre qualcuno che ne approfitta, ma la felicità, ci dovrebbero essere delle leggi per impedirle di fare la carogna.
Quando un testo ti mette davanti agli occhi simili periodi, riflessioni acute scritte con uno stile così accattivante, beh… è proprio il caso di leggerlo e suggerirlo a tutti.